Un concerto dedicato a Stefano Gervasoni, docente del workshop di composizione De Musica 2024. La sua produzione è caratterizzata da un mondo sonoro raffinato, nel quale convivono diversi tipi modalità espressive. Una tavolozza ricca di strumenti linguistici, riferimenti, mondi musicali e suggestioni, la cui combinazione determina una voce rappresentativa del panorama musicale del nostro tempo.
Stefano Gervasoni (1962) |
Dunkler Lichtglanz (2018) |
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per flauto in Sol, viola e violoncello |
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Least Bee (2nd vers. 1991-2003) |
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per soprano, flauto, clarinetto, pianoforte, violino e violoncello |
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testo di Emily Dickinson |
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Aster Lieder (2005, 2007, 2011, rev. 2015) |
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per soprano, soprano, violino, viola e violoncello |
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Im Herbst per voce e violino, testo di Rainer Maria Rilke |
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Im Winter, per voce e viola, testo di Friedrich Hölderlin |
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Im Frühling, per voce e trio d'archi, testo di Lisa Spalt |
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Im Sommer, per voce e violoncello, testo di Gottfried Benn |
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Gramigna (2009-15) per cimbalom ed ensemble |
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I. Premonizione, II. Cammino, III. Nella tempesta, IV. Ricordo ossessivo, V. Tranquillo (e misterioso), VI. Pas perdu, VII. Gioia mal trattenuta, VIII. Corsa – rincorsa, IX. Coda inconchiusa |
Livia Rado soprano
András Szalai cimbalom
PMCE- Parco della Musica Contemporanea Ensemble
Manuel Zurria flauto, Fabio Bagnoli oboe, Paolo Ravaglia clarinetto, Flavio Tanzi percussioni, Jacopo Petrucci pianoforte, Filippo Fattorini violino, Luca Sanzò viola, Anna Armatys violoncello
Tonino Battista direttore
Dunkler Lichtglanz
È una composizione work in progress per Swiss Chamber Soloists: la version in "trio basso" (flauto in sol, viola e violoncello) ne è il primo passo, scritto in occasione del ventesimo anniversario dei Swiss Chamber Concerts. Non ho mai composto per questo magnifico – e da me molto ammirato – gruppo di solisti, ma ho collaborato con diversi dei suoi musicisti in varie occasioni.
Questa “eplorazione dell’oscuro” (inteso anche in senso esistenziale) intende sviluppare il mio percorso di ricerca musicale sulle ali di una collaborazione artistica che spero possa intensificarsi e accompagnare lo sviluppo di questo pezzo. La sua costruzione, passo dopo passo, vuole essere la trasformazione dell'oscuro che opprime in un messaggio di speranza, la scoperta di una luce abbagliante che, come dice il poeta, solo può avvenire nella condivisione di un sentimento molto forte. In questo caso, il credo comune con SCC nell'importanza della musica e della forza del suo pensiero creativo.
Least Bee
Ho scritto Least Bee tra il 1990 e il 1992. Sono stati quegli anni il punto di svolta nella definizione del mio linguaggio compositivo, per lo meno di quello che posso considerare essere la sua prima fase. Nutrito dalla musica dei compositori che più sentivo congeniali (Schubert, Debussy, Webern, Nono, Castiglioni) e dalla poesia che prima di Least Bee mi aveva già consentito di mettere in musica Pablo Neruda (1983), Friedrich Hölderlin, (1985), Franco Fortini (1988), Vittorio Sereni (1988-89), Mario Luzi (1988-89), Edoardo Sanguineti (1988-89), Giorgio Caproni (1988-89), Toti Scialoja (1989), ma anche dell'arte (Jan Vermeer, Paul Klee e Fausto Melotti) mi sono “naturalmente” avvicinato all’universo poetico di Emily Dickinson. Perché trovavo incarnate nelle sue parole, così semplici eppure così sfuggenti, e negli organismi vertiginosi di senso che esse costruivano l’equivalente ideale di ciò che avrei voluto fosse la mia musica, e dell'obbiettivo espressivo che i suoi procedimenti costruttivi dovevano porsi.
La figura della litote, dell'ellissi, una generale economia di mezzi, il minimalismo costruttivo e la microscopia sonora del suo trattamento dovevano produrre un effetto di apparente semplicità e di irrisolvibile ambiguità.
[…] In Least Bee (la più piccola ape), tutto nasceva da un intervallo di seconda maggiore e dalle onomatopee sonore che lo sviluppavano, lo amplificavano, ne facevano brillare i sensi possibili, eleggevano il ronzio (la più microscopica delle vibrazioni sonore) a emblema della musica, che per me era – ed è – natura parlante alla sensibilità e all’intelligenza degli uomini che la sanno ascoltare e magnificare con il loro ingegno.
Aster Lieder
Questo ciclo di pezzi, tre duo in cui la voce è accompagnata volta per volta dal violino, dalla viola e dal violoncello, e un quartetto nel quale la voce incontra i tre strumenti riuniti in trio, è stato scritto per l’ensemble francese L’Instant Donné che l’ha presentato per la prima volta al pubblico in forma parziale nel 2007 al festival Agora dell’Ircam. A quell’epoca esistevano tre brani, due composti nel 2005 e il terzo aggiunto per quella occasione. Pensavo che il ciclo dovesse concludersi così, rimanendo incompleto di una stagione, la primavera, poiché non riuscivo a trovare una poesia che soddisfacesse i requisiti necessari a creare un’opera unitaria.
Fiore celeste e stella terrestre, gli Aster ― specie appartenente alla vastissima famiglia delle asteracee ― hanno da sempre affascinato i poeti per la loro semplicità e il richiamo alla forma a stella, così in grado, perciò, di rappresentare l’ultraterreno. Nel mio ciclo, il fiore o la stella sono accoppiati dai poeti a una stagione che li inscrive in una costellazione di significati metafisici diversi ― l’autunno per Rilke, l’inverno per Hölderlin, la primavera per Spalt e l’estate per Benn ― e da me a uno strumento che costituisce l’alter ego, l’altra parte, complementare, della voce: il cielo quando il poeta canta la terra, e la terra quando canta il cielo. Nel caso di Im Frühling i tre strumenti si ritrovano non ad accompagnare la voce sostenendola, ma si alternano ad essa in un dialogo serrato, ancora una volta testimoniando di quella complementarietà indissolubile.
Non riuscendo a trovare una poesia di lingua tedesca che includesse in un rapporto speculare, secondo l’obbligo che mi ero dato, la parola Aster e il nome della stagione mancante al ciclo (Frühling), ho accettato la proposta (e il regalo!) di Lisa Spalt, scrittrice e poetessa austriaca contemporanea che si è offerta di scrivere appositamente il testo da musicare. […] Le parole di Lisa Spalt fanno eco alle altre tre poesie del ciclo e tengono conto della loro versione musicata, rappresentandone una sorta di conclusione (ecco perché Im Frühling è affidata al trio d’archi), benché provvisoria (essendo situata in terza posizione, poiché il ciclo comincia dall’autunno), e creando inoltre una sorta di arresto di una parabola discendente che comincia liricamente con i suoni acuti del violino, passa al gelido ostinato meccanico della viola e precipita nell’afonia del violoncello che antiromanticamente brucia, come le estati torride della nostra civiltà capace di determinare surriscaldamenti e sconvolgimenti climatici, ogni afflato lirico e ogni speranza.
Gramigna
La genesi di Gramigna è il risultato di due processi, uno volontario, l'altro involontario, la cui interazione ha collaborato a modificare in maniera sostanziale il progetto compositivo. È accaduto che, come in un giardino seminato a prato, la “storia” del terreno sul quale quei semi sono stati posati si sia fatta sentire, contrapponendosi alle “cure” del giardiniere-compositore. Il quale, a un certo punto, non potendo fare altro che prendere atto dell'impossibile realizzazione del suo sogno di un bel prato uniforme e domesticato, è andato trasformando la sua azione creativa in quella di estirpatore delle “erbe folli”, sempre più popolanti il fazzoletto di terra della sua composizione, fino a modificarla in maniera sostanziale.
Ecco perché invece del pezzo coerente e articolato nel suo sviluppo in un unico movimento, il compositore-contadino propone una serie di bagatelle per cimbalom e otto strumenti, costituenti un ciclo in progress (come esponenziale è la progressione infestante della crescita della gramigna), dense di rimandi interni l'una con l'altra (come l'intreccio rizomatico delle radici della gramigna, sviluppantesi fino a due metri di profondità), multiformi nella loro natura e nelle loro allusioni (così come fanno pensare la varietà di specie e i nomi popolari ad esse associati nelle varie lingue, riconducibili al nome botanico di quest'erba – Cynodon dactylon: grano delle formiche, dente canino, erba canina, del diavolo, zampa di gallina...).
[…] La serie di bagatelle è andata via via arricchendosi, dal 2009 a oggi - alcune sono state scartate, altre sono state riprese successivamente, altre ancora sono state scritte negli anni successivi - fino ad arrivare al numero di nove, di durata diversa e ampiezza diverse, talvolta oltrepassanti la dimensione iniziale della miniatura. Le "gramigne" della prima versione, presentata alla Biennale di Venezia del 2009 e premiate con il riconoscimento dell'Associazione dei Critici Italiani "Franco Abbiati" nel 2010, sono diventate un vero e proprio concerto per cimbalom che organizza i numerosi movimenti che lo compongono e i materiali "spontaneamente" organizzati al loro interno in un'architettura con un afflato narrativo e una costruzione geometrica.
Introduzioni ai brani di Stefano Gervasoni
In coproduzione con Fondazione Musica per Roma
Con il supporto di Fondazione Nuovi Mecenati - Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea.
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