testo di Giovanni Peli
musiche di Antonio Giacometti
elaborazioni acusmatiche di Flavio Carlotti
Giuseppina Turra voce recitante
dèdalo ensemble
Daniela Cima flauto, Nicola Zuccalà clarinetto, Matteo Zurletti violoncello, Marco Tiraboschi chitarra elettrica
Vittorio Parisi direttore
immagini originali di Marina Casari
Il lavoro si pone come voce, in sé polifonica, di più generazioni di bresciani che testimoniano con la stessa loro vita, che è fatta anche di mancata partecipazione e a volte di mancata attenzione, il peso di un crimine così enorme da tenerci ancora col fiato sospeso. Non accettando che il ricordo non sia incarnato e che resti solo occasione retorica di commemorazione, col rischio di depotenziare la possibilità di confronto con la Storia, si propone un canto continuo, un realistico invito a portare nel futuro il senso civico, l’onestà, la ricerca della verità.
28 maggio 1974. Quel giorno, a Brescia, non morirono solo otto persone innocenti. Sotto la pioggia battente di quel mattino una bomba collocata in un portarifiuti dilaniò una speranza, che non riuscì più a ricomporsi. Il sole dell’avvenire si coprì di fango e sangue, la bilancia della giustizia si appesantì di un cinquantennio di detriti, la cultura dell’odio allontanò nella deflagrazione un ventennio di velleitaria cultura di pacificazione tra i popoli, di solidarietà e di fratellanza. Quel giorno morì tutta la mia generazione perché i suoi sogni si frantumarono davanti alla realtà di quei corpi insanguinati.
Solo per una bizzarra coincidenza io non mi trovai lì, ma la memoria mi restò negli anni, nei lustri e nei decenni. Dopo cinquant’anni ho allora deciso di condividerne il ricordo, attraverso la parola, ma, soprattutto, attraverso il suono, mezzo espressivo potente ed evocativo, che in questo mezzo secolo ho coltivato con appassionata continuità.
Da diciassettenne amavo il progressive rock. Un mese e otto giorni prima dello scoppio della bomba, il 20 marzo, ero al Palasport della mia città a vedere i King Crimson. Cantavano The Great Deceiver. «Cigarettes, Ice-cream, Figurines of the Vergin Mary». Profetico. Il grande ingannatore «che vende I tuoi sogni ad una produzione cinematografica», il mondo ridotto a dipendenze, divertimenti e religioni buone per tutti gli usi erano alle porte che, trentanove giorni dopo, un ordigno micidiale avrebbe definitivamente sfondato.
A chi non c’era vuole essere un concerto di voci e strumenti sulla scena, ma anche di voci e suoni che provengono dal “fuori” della nostra memoria, perché in questi cinquant’anni si sono avvicendate generazioni che non possono avere memoria semplicemente perché non c’erano. Ecco perché nella costruzione di questo lavoro ho voluto coinvolgere un mio ex allievo e un poeta che potrebbero essere i possibili fratelli maggiori di mio figlio. Ecco perché ho affidato le immagini che contrappuntano parole e suoni ad un’artista bresciana mia coetanea e l’esecuzione ad un Ensemble meritorio per la diffusione della musica contemporanea sul territorio bresciano.
In questa ricerca di un forte simbolismo evocativo, il testo di Giovanni Peli mi è subito sembrato perfetto nella stratificazione dei livelli narrativi, agiti fra il ricordo come dolore, il ricordo come rimpianto e la memoria come educazione alla speranza, trasmessa attraverso la storia del rock dal padre, che già “non c’era”, al figlio bambino che sta crescendo in un mondo distopico. Un testo che non è mai schierato e che pur nel dolore rabbioso non è mai giudicante. Un testo che in alcuni momenti è già musica. Una musica che sgorga dalle parole e sulle parole costruisce il suo intreccio compatto di improvvisazioni vocali e strumentali, di echi dal passato, di citazioni colte e popolari, richiamando “chi c’era” con il riferimento più o meno diretto e palese, quando non addirittura sottotraccia, quasi subliminale, agli stili e al mood sonoro di quegli anni e riproponendo “a chi non c’era”, con l’ausilio prezioso delle immagini in movimento, il contesto più favorevole alla costruzione di una memoria insieme emotiva e riflessiva.
«Non ho paura di questa luce», dice il bimbo accomiatandosi dal padre. Perché il sole dell’avvenire deve continuare ad illuminarci e in quel solco dobbiamo continuare a camminare.
Antonio Giacometti
In collaborazione con Associazione dèdalo ensemble, Casa della Memoria di Brescia, Azienda Speciale Palaexpo - Il Mattatoio di Roma
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